17 maggio 2014

Targa AIS Lombardia II edizione ancora in rosa

Concorso Targa Ais Lombardia 2014, rivolto agli studenti degli Istituti Alberghieri, dopo Elena Ribolzi, vincitrice della prima edizione 2013, anche quest’anno è una ragazza a conquistare il primo posto.




La giovane Silvia Premoli, dellIstituto Alberghiero “Le Castelli” di Saronno, ha vinto la seconda edizione del Concorso Targa Ais Lombardia.
Tanta voglia di apprendere e di andare avanti. Il Franciacorta è la sua tipologia preferita … una ragazza che vedremo ancora in questo mondo!



16 maggio 2014

GUARDA BOSCHI TENDE LA MANO A BAROLO BUSSIA

 DUE STILI, DUE MONDI, DUE GRANDI VINI CHE PARLANO DI ELEGANZA! 

Monforte d’Alba, Località Bussia, circondati da uno splendido panorama vitivinicolo, nella cantina di Giacomo Fenocchio, il 15 maggio ha avuto luogo un’insolita degustazione. Si può dire che un Bolgheri DOC Superiore ha fatto la conoscenza del Barolo. Due uvaggi diversi, due vini differenti, accomunati da una grande eleganza.

Sei annate a confronto…2001, 2003, 2004, 2005, 2007… uguali per entrambe le tipologie…2011 per Bolgheri e 2010 per il Barolo.

L’Azienda Agricola FORNACELLE, situata nel cuore della “Bolgherese”, nasce alla fine dell’Ottocento. Il nome è a testimonianza delle numerose ed antiche fornaci, i cui resti si trovano ancora sotto la cantina. La Fattoria, a conduzione familiare, si estende su una superficie di 15 ettari. L’ Azienda, di proprietà della famiglia Billi-Batistoni da quattro generazioni, ha avuto un nuovo inizio nel 1998, anno in cui Stefano Billi ha raccolto l’eredità familiare ed ha impiantato il nuovo vigneto, selezionando vitigni e cloni a seconda del tipo di suolo presente nei diversi appezzamenti. In seguito, nella conduzione aziendale, a Stefano si unita anche la moglie Silvia. Oltre alla vigna un oliveto, di circa 1000 piante, e altre coltivazioni ortofrutticole completano il quadro produttivo.
La filosofia produttiva dell’azienda FORNACELLE prende origine dal sapere contadino e dal rispetto per i cicli stagionali della natura, per arrivare all’utilizzo di tecniche moderne, per salvaguardare l’irripetibilità di un prodotto e del suo territorio. Ogni cultivar ha una sua peculiarità e viene trattata distintamente nella potatura, nella selezione dei grappoli, nel diradamento fogliare e in vendemmia.
GUARDA BOSCHI BOLGHERI D.O.C. SUPERIORE è il toponimo di una zona, già vigneto dei Conti Della Gherardesca, dove, da impianti del 1998, si producono le uve per realizzare questo vino. Il vigneto è posizionato a 40-60 m. sul livello del mare, all’interno di una zona, che per la sua conformazione, è stata denominata Anfiteatro Bolgherese, con esposizione a Sud.
Un taglio bordolese composto da 40% Merlot, 30% Cabernet Franc e 30% Cabernet Sauvignon.
Ogni singolo vitigno viene vinificato in purezza in barrique aperte di rovere francese. Fermentazione e macerazione hanno una durata di 18 giorni e vengono utilizzati soltanto i lieviti presenti nell’uva. L’affinamento si svolge per 15 mesi nelle stesse barrique, nuove, in cui è avvenuta la fermentazione e poi per 12 mesi in bottiglia. Il vino non subisce alcuna filtrazione.
Ricordiamo che il Guarda Boschi è stato un Bolgheri DOC fino alla vendemmia 2005, “ le vigne erano ancora troppo giovani per produrre un Superiore” – spiega Stenano Billi- “ma in realtà nulla è cambiato a livello produttivo e di selezione! È stata solo una scelta aziendale!”.
La degustazione ha messo in luce l’eleganza dei vini e la loro evoluzione nel tempo…
2001 granato, con profumi terziari evidenti; liquirizia e spezie dominano incontrastate;
2003 a dispetto dell’annata, la più calda del decennio, ancora vivo e presente; note eteree e di frutta in composta;
2004 note fruttate di sottobosco e cassis, grande freschezza, tannino morbido;
2005 naso elegante e articolato che va dal sottobosco alle visciole, dalla resina alla vaniglia. Avvolgente e persistente in bocca;
2007 si differenzia per una leggera nota vegetale più evidente rispetto alle altre annate.
2011 ancora giovane, ma dalle grandi potenzialità. Piacevole, avvolgente con un tannino graffiante che ci fa intravedere un grande vino in evoluzione sotto mentite spoglie.
Ricordiamo la coraggiosa scelta aziendale di non uscire con nessun “Superiore” 2010, ritenendoli non all’altezza a causa della difficile annata.

Barolo uguale Nebbiolo, vino elegante e austero, ma il cru Bussia, a Monforte d’Alba, è riconosciuto come uno dei più vocati; regala vini con caratteristiche particolari: profumi che nel tempo evolvono in goudron, elevata struttura, grande mineralità e con un colore molto intenso.
Il Barolo Bussia dell’Azienda Fenocchio è prodotto da un vigneto di circa 5 ettari con esposizione a Sud – Sud/Ovest, posizionato a 300 metri s.l.m.; l’età media delle viti è di 30 anni.
La vinificazione avviene mediante metodo tradizionale a lunga macerazione; la fermentazione è naturale senza aggiunta di lieviti per 30 giorni circa in vasche di acciaio inox e l’affinamento avviene per 6 mesi in tini di acciaio inox, 30 mesi in botti di rovere di Slavonia di grande capacità (35-50 hl) e poi successivamente in bottiglia.

2001 rosso granato scarico, tipico del Nebbiolo; pot-pourri di rosa con note di chinotto, elegante e fresco, con trama sottile;
2003 annata difficile, ma perfettamente in forma; tannino presente su note di spezie dolci e pepate;
2004 la rosa prevale in questo bouquet dolce e una leggera nota di linfa gli da un po’ di verve. Chiude con un finale ammandorlato;
2005 elegante e complesso al naso, avvolgente e persistente in bocca. Un vino intrigante con morbidi tannini;
2007 morbido, persistente e avvolgente. L’annata calda dà la sua impronta rendendolo quasi “ruffiano” e di facile beva;
2010 note cupe, frutta, visciole; in bocca è piacevole, ricco di glicerina, ma con una bella spalla acida. Un vino che non ci dispiacerebbe ritrovare nel bicchiere tra qualche anno.


Concludendo: due grandi vini che rispecchiano due territori straordinari…impossibile fare dei confronti, ma che tutti vorrebbero trovarsi nel bicchiere!


6 maggio 2014

PODERE IL CASTELLACCIO … SFIDA E DISFIDA: IL MORAIOLO

In Toscana, l’olivicoltura si basa su tre cultivar principali: Moraiolo, Frantoio e Leccino che hanno una fioritura sostanzialmente contemporanea.
Ma puntiamo l’attenzione sul Moraiolo!
Questa cultivar è presente nei principali areali olivicoli delle Regioni dell’Italia centrale. È una varietà rustica e poco esigente; predilige terreni collinari, ma si adatta a vari suoli. Ha una vigoria limitata, una chioma poco voluminosa e mediamente folta. I rami con i frutti sono corti e contorti rendendolo, così, inadatto alle macchine raccoglitrici o potatrici. A volte ha difficoltà a rimarginare i tagli della potatura. Non risente troppo della siccità del vento, ma teme i ristagni d'acqua. È autosterile, pertanto ha bisogno di cultivar impollinatrice, e spesso il Pendolino serve proprio a sopperire a questo difetto.
L'impiego del "Moraiolo" è legato all'elevata resa in olio delle drupe e ad alte e costanti capacità produttive. Il suo olio risulta avere un buon contenuto in polifenoli, che sono “gli spazzini delle arterie”, poiché combattono il colesterolo e i radicali liberi.
È apprezzato anche per l’elevata presenza di squalene che è uno dei più importanti costituenti del sebo, una sostanza oleosa che mantiene idratato lo strato più superficiale dell’epidermide rallentando l’evaporazione dell’acqua.
Immerso nella campagna bolgherese, troviamo “Podere il Castellaccio”, in Località Segalari. L’Azienda fu acquistata, intorno agli Anni Cinquanta, da Luigi Corradini e Lia Bartalini spinti dall’amore per la natura. La responsabilità della Tenuta è passata di mano in mano, prima al figlio e ora al nipote, Alessandro Scappini; oggi si estende per più di quindici ettari, suddivisi in vigneti, oliveti, bosco e una piccola parte dedicata all’allevamento dei cavalli. Da sempre la filosofia produttiva è di coniugare le vecchie tradizioni, come la raccolta e la potatura eseguite rigorosamente a mano, con la modernità delle nuove tecnologie di frangitura e di vinificazione.
L’oliveto copre una superfice di circa 10 ettari, ad un’altezza di 100/160 metri sul livello del mare, quindi in una zona prevalentemente collinare. Circa 2000 piante secolari si trovano in ordine sparso a testimonianza di una forma di allevamento non industrializzata. In corso sono i lavori di ampliamento dell’oliveto, ma sempre nel rispetto della natura e del bosco circostante. Il terreno, per esigenze idrogeologiche, rimane inerbito arrestando e limitando, così, fenomeni di dispersione di macro elementi.
Nella parte bassa dell’azienda si coltivano in prevalenza Leccino, Moraiolo e Frantoio dai quali si ottiene un olio dal classico blend toscano dai profumi intensi.
Nella parte più alta, invece, si trovano le imponenti piante di Moraiolo dalle quale si ottiene un pregiato olio monovarietale. Quest’anno, per la scarsa ma ottima produzione della campagna olivicola 2013-2014, questo monocultivar è stato imbottigliato solo nel formato da 0,250 l.
Ma vediamo le caratteristiche!
Un olio dal fruttato medio-intenso, di tipo verde, con note di carciofo e pomodoro. Al gusto è equilibrato, con buone sensazioni di amaro e piccante; forte ed elegante allo stesso tempo. Adattissimo per i condimenti a crudo, per le bruschette o per le “freghe”; ottimo sulle carni sia bianche che rosse, meno su pesci delicati.


Non ci resta che provare quest’olio di Moraiolo in purezza, visto anche le sue numerose qualità salutistiche, magari accompagnato dai vini che l’azienda produce: Dinostro”, un Sangiovese in purezza, e “Valénte, un blend composto al 70% da Sangiovese e il 30% rimanente suddiviso tra Ciliegiolo, Foglia Tonda e Pugnitello.


1 maggio 2014

UNA BIRRA “BOLGHERESE”… SÌ UNA CUDERA

BIRRA: UNA BEVANDA CHE VIENE DAL PASSATO

La birra nel nostro Paese viene consumata prevalentemente nei mesi caldi, questo perché culturalmente e tradizionalmente è il vino la bevanda principe sulle nostre tavole.
Solo ultimamente questo prodotto ha trovato un pubblico di appassionati; manca però una cultura simile a quella del vino che ci permetta di poter scegliere tra l’ancora “caotico” universo delle birre.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Le birre sono divise per STILI, a loro volta raggruppati in tre categorie: ale, lager e lambic.
Lager: birre a bassa fermentazione, rappresentano circa il 90% della birra prodotta. Una delle caratteristiche di queste birre è il naso "pulito" e si nota soprattutto la presenza di malto e luppolo.
Ales: birre ad alta fermentazione, costituiscono circa il 10% del mercato mondiale, ma, in alcuni Paesi, rappresentano il 50% della birra consumata. Spesso sono riconosciute per una maggior complessità grazie ai sapori e agli odori ricchi di aromi floreali, speziati e fruttati. Si va dalle Ales Anglosassoni alle Ales Belghe per poi passare alle birre di frumento.
Lambic: birre prodotte quasi esclusivamente in una regione del Belgio meridionale. Il mosto viene esposto ai lieviti indigeni selvatici, come il Brettanomyces bruxellensis; si sviluppa così una "fermentazione spontanea", che conferisce a queste birre caratteristiche uniche, come un gusto forte, acidulo e aroma vinoso e aspro.

I lieviti, nel corso del tempo, hanno fatto la differenza: da quelli spontanei, presenti nell’aria, si passa a lieviti aggiunti al mosto da mano umana, differenziando così la fermentazione. Aiutati dal progresso tecnico e scientifico, che seleziona e alleva vari ceppi di saccaromiceti, si arriva all’utilizzo di due diversi fermenti: saccaromices cerevesiae e saccaromices carlsbergensis.
Il primo lavora a temperature comprese tra circa 15 e 25 gradi e sale in superficie nel tino di fermentazione, dando vita alle birre ad alta fermentazione. Il secondo, invece, fermenta a temperature tra circa 5 e 10 gradi e si deposita sul fondo del tino, dando vita alle birre a bassa fermentazione.
A chi non è mai capitato, almeno una volta, in un pub di sentire chiedere una birra doppio o triplo malto? In realtà il gestore, ogni volta e con pazienza, dovrebbe rispondere: «bene, adesso che ha scelto il grado di zuccheri nel mosto, potrebbe dirmi quale birra desidera?».
In realtà la birra doppio è un’invenzione del legislatore italiano che, per motivi fiscali, ha suddiviso le birre in varie categorie (analcolica, light, normale, speciale, doppio malto) a secondo del Grado Plato (unità di misura del livello di zuccheri contenuti nel mosto della birra).
Sfortunatamente la diffusione di questa espressione errata nei pub e nelle birrerie ha, di fatto, portato all’identificazione della birra doppio malto con una birra “forte” e quella triplo malto “ancora più forte”.
La legge italiana classifica la birra in base alla concentrazione zuccherina del mosto (ovvero in Gradi Plato, che non è la percentuale di alcol scritta sulle bottiglie), per una questione di pagamento delle accise Art. 2 (Così sostituito da D.P.R. 30.6.98 n. 272.)

Denominazione
Grado Plato
Grado Alcolico (% Vol.)
  BIRRA ANALCOLICA
3 – 8
< 1,2
  BIRRA LIGHT
5 – 10,5
1,2 – 3,5
  BIRRA
> 10,5
> 3,5
  BIRRA SPECIALE
> 12,5
> 3,5
  BIRRA DOPPIO MALTO
> 14,5
> 3,5

L'Italia non avendo una vera e propria tradizione birraia non ha dei suoi stili, pertanto il neo-nato movimento birrario artigianale italiano, iniziato poco più di 10 anni fa, ha deciso di ispirarsi agli stili degli altri Paesi, adattandoli e personalizzandoli. Negli ultimi anni la qualità delle birre artigianali italiane ha raggiunto dei buoni livelli. Molti birrai stanno vincendo premi internazionali con i loro prodotti. In ogni regione poi si cerca di caratterizzare le proprie birre con prodotti locali. Ed ecco che troviamo in Toscana birre di farro, con aggiunta di castagne, di Vin Santo o mosto. Proprio questo è l’ingrediente caratterizzante della Cudera, una birra prodotta in Garfagnana, con l'aggiunta di mosto di uve bolgheresi, Cabernet Sauvignon e Merlot.
Etienne Henri Hunyad, la cui famiglia possiede un’azienda vinicola nella denominazione Balaton nel sud-ovest dell'Ungheria, circa 3 anni fa ha deciso di produrre una birra tra i cui ingredienti troviamo il mosto d’uva, circa un 10%, in aggiunta a malti e luppoli, per dare uno spessore vinoso al prodotto. La voglia di provare gli viene dal nonno materno, Mario Incisa della Rocchetta, che fu il primo a sperimentare e a piantare vitigni francesi nella zona di Bolgheri, dando vita così al Sassicaia. Il mosto utilizzato nella Cudera non è, comunque, quello del Sassicaia, ma quello di una vigna vicina. Questa birra viene creata con la collaborazione di Roberto Giannarelli, vincitore, nel 2006, del premio Union-birrai per la miglior birra con altri cereali. Il nome “Cudera”, formica tenace e aggressiva, non ha un vero e proprio significato, è stato pensato da Etienne guardando le travi del suo tetto piene di questi animaletti e a come liberarsene. Forse non è riuscito nel suo intento, ma sicuramente nella sua birra troviamo un po’ della tenacità della formica di cui ha preso il nome.
Forte e intensa, una birra color ambra scuro, con un cappello di schiuma fine, persistente color crema. Il bouquet è fine ed elegante, abbastanza intenso e complesso; sono presenti note dolci e fruttate, evidente è il profumo di uva fragola per poi passare al miele di erica, more, chinotto e naturalmente di mosto. Buona la corrispondenza gusto-olfattiva, l’entrata amara è subito equilibrata dalla dolcezza dell’uva fragola, poi ritorna una sensazione luppolata. La bella persistenza fa si che la birra si abbini bene a formaggi di media stagionatura, carne bianca, ma va bene anche con una crostata di frutta a bacca nera o alla tipica schiacciata toscana all’uva.

La Cudera ha una gradazione di 7,2 vol., come tutte le birre di qualità ha una rifermentazione in bottiglia, i lieviti sedimentano sul fondo, bisogna per questo far attenzione al servizio. Per degustarla al meglio si posso usare calici da vino e accompagnarla con abbinamenti dolci o salati a seconda dei gusti. Non rimane che provare!

(Già pubblicato su BolgheriNews gennaio 2013)