IL MOSCATELLO DI TAGGIA
La
riscoperta dei vitigni autoctoni oggi è diventata una moda che si fonde con la
voglia di proteggere e valorizzare il grande patrimonio vitivinicolo italiano. Una
volontà, ormai diffusa, di scommettere sui vitigni “locali”, testimoni di una
specificità del territorio, per far conoscere queste piccole realtà e per
contrastare il mercato dei vitigni così detti internazionali.
Così
il Moscatello di Taggia, situato nel Ponente ligure e più precisamente nella
Valle Argentina – Armea, quasi estinto, grazie all’Assessorato Agricoltura
della Regione Liguria, è stato recuperato e sono state fatte su di esso
ricerche storiche e ampelografiche.
Dagli
studi effettuati è emerso che durante tutto il Medioevo la viticoltura era una
delle principali fonti di reddito per l’economia di quella zona. Tra i vini più
nominati negli antichi documenti figura spesso il Moscatello di Taggia, il cui mercato
si estendeva da Roma al Nord Europa. Apprezzato da tutti e presente sulle mense
dei re e dei Papi tanto da rendere il Borgo di Taggia, nel XV secolo, un centro
economico di rilievo. Nel XVII secolo l’affermarsi dell’olivicoltura, con la
famosa cultivar taggiasca, mise in secondo piano la viticultura, ma fu l’arrivo
della fillossera a dare il definitivo colpo di grazia al Moscatello,
decretandone la sua “quasi” definitiva scomparsa.
Nel
2003 sono state raccolte testimonianze sul territorio, ricordi di anziani
viticoltori che ancora parlavano di questo Moscatello e che ne conservavano
qualche pianta, a volte solo per non perdere la varietà, a volte per avere una
piccola quantità di uva aromatica da aggiungere nei vini bianchi.
Nello
stesso anno è iniziata la sperimentazione enologica. E’stato attestato che il
Moscatello di Taggia è un “Moscato bianco”, geneticamente uguale a quello di
Canelli, ma con un grappolo spargolo e un aroma molto intenso. La prima microvinificazione
è stata fatta partendo da circa 15 kg di uva raccolta da 17 viti per ottenere
circa 10 litri di mosto che sono stati lasciati fermentare fino al
raggiungimento di 5 gradi alcolici. Il prodotto è stato stabilizzato tramite
l’abbassamento della temperatura e la filtrazione con sacchi olandesi per
arrivare a un prodotto denominato a “tappo raso”, leggermente frizzante simile
per caratteristiche al classico Moscato d’Asti. La scelta del metodo di
vinificazione è stata dettata da due motivi: innanzitutto per mantenere gli
aromi primari usando metodi di cantina non invasivi e tradizionali; in secondo
luogo perché in una documentazione storica il Moscatello era descritto come un
vino “liquido come l’argento vivo,
frizzante come lo sciampagna, che ride nel bicchiere....” oppure “di colore dorato, non troppo dolce ma
amabile…”
Oggi
da questo vitigno, che matura verso la seconda metà di settembre, si possono
ottenere vini dolci e intensamente aromatici, frizzanti o più spesso spumanti.
A seguito dell’appassimento delle uve si ottengono passiti di eccellente
qualità che si abbinano alla pasticceria e ai dolci del luogo come i
canestrelli e i biscotti del Lagaccio. Rari,
ma degni di nota, i vini secchi e aromatici adatti come consumo da aperitivo.
Da notare in questo vino, dal color giallo paglierino con riflessi dorati, la
sua particolare sapidità, caratteristica comune a quasi tutti i vini liguri.
Unico
neo di questo vino sono le ridottissime quantità e solo una visita a Taggia ci
può dare l’occasione di assaggiarlo.
Nel novembre
2011, come riconoscimento della sua importanza, è nata la Sottozona Taggia delle Riviera Ligure di Ponente e
lo possiamo trovare nella versione frizzante, vendemmia
tardiva e passita, sempre 100% moscato bianco.
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